La notte che bruciammo Chrome è un racconto di fantascienza cyberpunk, scritto da William Gibson nel 1982.
E’ un racconto importante: in esso, per la prima volta, compare il termine cyberspazio, coniato dallo stesso Gibson.
Un paio d’anni più tardi, nel suo romanzo Neuromante, William Gibson lo descrive così, con il suo stile visionario:
« Cyberspazio: un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici… Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano […]. »
Da lì a breve, negli anni ’90, il termine Cyberspazio diviene sinonimo di Internet e di World Wide Web (il www dei nostri siti).
Il Cyberspazio è un non-luogo. Anche se le informazioni hanno una collocazione fisica (o meglio, esistono grazie a una collocazione fisica dei server, dei computer, delle reti cablate e dei ponti radio), queste informazioni sono solo impulsi elettrici o luminosi tradotti dai computer in forma di dati. Siamo noi ad interpretare questi dati e trasformarli prima in informazioni, poi in percezioni e quindi in esperienza.
Quando scatti una foto con il tuo smartphone e poi la salvi su Facebook, questa foto finisce nel Cyberspazio. Non è in un computer in particolare. E’ potenzialmente ovunque tu la possa raggiungere, con qualsiasi dispositivo adatto allo scopo. E’ in un non-luogo. Quando indossi un dispositivo come Oculus Rift (il visore per la realtà virtuale prodotto da Facebook) puoi entrare in questo non-luogo, sperimentarlo ed esplorarlo come fosse reale. Anche se il programma che simula la realtà virtuale di cui fai esperienza viene eseguito da un server da qualche parte nel mondo “reale”, la tua esperienza non si svolge nel computer, bensì nel Cyberspazio. Per ora l’esperienza è solo visiva e auditiva. Ma tra non molto potrà essere anche cinestesica (e cioè coinvolgere e ingannare tutti i tuoi sensi, non solo il tatto, ma anche l’olfatto, il gusto, il senso della gravità, dell’orientamento del corpo… e forse anche la percezione dello spazio e del tempo).
In fondo Gibson non è stato il primo a parlare di Cyberspazio e realtà virtuale. Ben prima di lui, già Platone, nell’allegoria della Caverna, alludeva al fatto che noi uomini siamo già immersi in una sorta di realtà virtuale, illusoria, fatta di ombre, e che dovremmo liberarci dalle nostre catene e dai condizionamenti, per ricercare e sperimentare la vera realtà. E dopo di lui Cartesio, che preconizzava una sorta di Matrix, sotto forma di Demone che inganna la nostra mente e ci tiene prigionieri di una realtà virtuale, illusoria.
Mentre i grandi filosofi del passato hanno tentato con ogni mezzo di metterci in guardia da una realtà virtuale in cui perennemente viviamo e di cui non ci accorgiamo, noi oggi non solo siamo convinti che questa sia la vera realtà, ma stiamo anche creando una nuova realtà virtuale all’interno della realtà che crediamo essere reale: il Cyberspazio. E in esso, lentamente, ci perdiamo.
Un capolavoro degno del film Inception di Christopher Nolan.
Ma la cosa ancor più curiosa e grottesca è che questa realtà virtuale sta diventando sempre più una “falsità virtuale”.
Hai presente le leggende metropolitane? Quelle storie assurde che ti raccontava tuo cugino da piccolo, le cui radici si perdono nella notte dei tempi e che ormai la gente prende per vere perché le ha sentite dire da così tanto tempo e da così tante persone che… beh, devono essere vere per forza, no?
Ecco, prima dell’avvento di Internet e del Cyberspazio, questo fenomeno poteva essere considerato innocuo e tutt’al più folkloristico. In fondo si parlava di piccole credenze innocenti che più di tanto non cambiavano la nostra vita e la nostra percezione del mondo. E in quanto leggende, ci mettevano anni, forse decenni, prima di mettere radici e diffondersi con un lento ma inesorabile passaparola.
Con l’avvento di Internet, questo stesso fenomeno che un tempo alimentava le leggende metropolitane ha trovato un terreno fertilissimo nel Cyberspazio. E si sta diffondendo come un virus.
E’ il fenomeno noto come bufala (in inglese hoax).
La differenza sostanziale tra la leggenda metropolitana e la bufala è che della prima non abbiamo certezza delle motivazioni (magari è nata come scherzo, ma più probabilmente come verità apparente e poi equivocata, ingigantita e storpiata passando di bocca in orecchio come nel gioco del telefono senza fili). Mentre della seconda possiamo dire che è quasi certamente una notizia falsa creata ad arte per sembrare vera e ingannare le persone.
Il concetto più vicino alla bufala è il Cavallo di Troia (sempre di animali stiamo parlando, no?).
E se un tempo la bufala prosperava nelle praterie americane, oggi che di praterie non ne sono rimaste più, la bufala (virtuale) prospera nel Cyberspazio.
Mi interesso del fenomeno delle bufale da molto tempo, da quando giravano nel Cyberspazio le prime catene di Sant’Antonio che ci allertavano di minacciosi virus che friggevano il processore del computer, di sms che distruggevano il cellulare e di Bill Gates che ti regalava 100 milioni di dollari se inoltravi questa email a 10 amici.
All’epoca il fenomeno non mi preoccupava più di tanto e mi sembrava tutto sommato innocuo. Faceva leva sulla credulità delle persone che, già ipnotizzate dalla televisione e dai media tradizionali, credevano a tutto ciò che leggevano su Internet, in quanto media indipendente.
Negli ultimi anni però la diffusione delle bufale è cresciuta in maniera esponenziale. La viralità con cui si diffondono le bufale su internet ricorda proprio quella con cui si diffondono i virus (informatici e non). Le bufale si trasmettono viralmente proprio grazie alla mancanza di pensiero critico delle persone, che prendono per buono tutto ciò che arriva da media “autorevoli”, senza porsi domande né controllare le fonti. Il che mi fa pensare che le persone siano sempre più facilmente ingannabili e vulnerabili a questo tipo di trappola.
Molti si giustificano così: <<Che male c’è a condividere una notizia? Io non ho mica tempo di verificare se è vera… Se tutti la condividono, sarà sicuramente vera… E se è falsa, qualcuno prima o poi se ne accorgerà e la cosa si fermerà, no?>>.
No. Perché le persone che diffondono la bufala in buona fede, credendo che sia vera, ma senza spirito critico e senza controllare le fonti, sono superiori alle persone che si fanno domande e controllano la veridicità del messaggio. Superata una certa massa critica, la bufala è inarrestabile e si muove proprio come un virus.
Il Cyberspazio, più che una realtà virtuale, sta diventando una falsità virtuale.
E mentre sappiamo che la realtà virtuale è finta, perché l’abbiamo creata noi, pensiamo che la falsità virtuale sia vera e crediamo a tutte le notizie che ci arrivano dal Cyberspazio.
Ogni giorno leggo su Facebook e su vari blog e siti web almeno due o tre notizie false. Non solo sui profili personali delle persone, ma spesso anche su testate autorevoli (o presunte tali) che si presentano come testate giornalistiche e di informazione. O di controinformazione, che è anche peggio. Non sto esagerando.
Le notizie bufala che ho letto oggi?
- La Monsanto ha brevettato la Marijuana OGM. E via a indignarsi e condividere.
- Matteo Renzi è in coma. E giù insulti e malauguri, e condividere (la notizia gira dall’anno scorso).
- Google ha creato la bicicletta che va in giro da sola per le strade di Amsterdam (era un pesce d’Aprile).
- Matteo Renzi ha detto che entro due anni il microchip sottocutaneo sarà obbligatorio per legge (ma non era in coma?).
- La Comunità Europea dichiara illegale il battesimo per i neonati e multa l’Italia per violazione dei diritti umani. E giù insulti contro la Chiesa e Papa Bergoglio massone e gesuita.
- La sezione del nostro DNA ha la forma geometrica del fiore della vita (era una foto al microscopio di nanotubi di carbonio). E tutti a (stra)parlare di fisica quantistica e vedi che avevamo ragione, che la scienza si inchini a noi!
E allora, che male c’è? C’è chi la chiama disinformazione, c’è sempre stata e ci sarà sempre. Dopotutto la televisione la fa da sempre… Perché mai dovrei prestare tanta attenzione a queste frivolezze, al punto da scriverne un articolo?
Perché questo fenomeno della falsità virtuale, dal mio punto di vista, va ben oltre la disinformazione, mi colpisce e mi domando dove ci stia portando.
Facebook ha un meccanismo interessante: tende a darti ragione. L’algoritmo di Facebook è studiato in modo da mostrarti in prevalenza notizie e informazioni simili a quelle con cui hai interagito e alle quali hai reagito. Hai commentato una certa notizia? Hai guardato e poi condiviso un certo video? Hai messo una “reaction” (un cuoricino o una faccina arrabbiata) in risposta ad un contenuto? Bene, Facebook ne tiene conto. E progressivamente crea un tuo profilo, con i tuoi gusti, le tue preferenze, la tua morale, la tua emotività (se pensavi che le nuove iconcine che Facebook ha aggiunto al “mi piace” fossero solo un simpatico giochino, adesso sai a cosa servono… gli mancavano le tue emozioni, ora può misurare anche queste).
Facebook tende a creare attorno a te una “bolla di percezione” che risuona con te e in cui ti puoi rispecchiare e identificare. Ti dice quello che vuoi sentirti dire.
E quando questo meccanismo si è instaurato, all’interno della bolla si insinuano le bufale, gli hoax. Ti infettano. E grazie a te si propagano.
E gradualmente la realtà virtuale diventa una falsità virtuale. Che però ha ripercussioni molto concrete nel mondo reale.
La falsità virtuale cambia il modo in cui vediamo la realtà (che come diceva Platone non è reale, ma noi pensiamo che lo sia). In certi casi alimenta il pessimismo, la rabbia e la paura, in altri casi alimenta false speranze e sogni di un mondo ideale che però non si concretizza mai (perché nutrito da premesse non vere e contraddittorie), creando in noi frustrazione e delusione. Tutto questo ci toglie speranza e forza vitale, ci scollega dalla realtà e ci fa ammalare.
Ma come? Che male c’è nel voler credere che la sezione del DNA è fatta a forma di fiore della vita? Dopotutto questo spiegherebbe molte cose… la fisica quantistica, il solido platonico, tutto è uno, la vibrazione cosmica… Che male c’è a sognare un po’? In fondo la realtà è illusione e se io sono convinto di una cosa, poi questa diventa vera!
Certo, lo capisco. E’ un nostro bisogno. Ed è qui che sta il vero problema, l’inganno più grande. La falsità virtuale che sta dilagando nel Cyberspazio sfrutta proprio questo nostro bisogno per intrappolarci. “I want to believe!” diceva Fox Mulder, il protagonista della serie televisiva X-Files che ha tenuto incollati al televisore milioni di spettatori che avevano bisogno di nutrire le loro convinzioni per sentirsi meno soli e alleviare le loro frustrazioni.
Attenzione: non sto entrando nel merito delle idee o delle convinzioni personali. Anche io ho le mie idee e mi interesso di certi argomenti (altrimenti non avrei creato questo podcast). E all’epoca mi sono guardato tutti gli episodi di X-Files.
Voglio solo metterti in guardia dal pericolo più grande: quello di voler a tutti i costi trovare conferme al di fuori di te stesso, aggrappandoti a tutto ciò che sembra darti ragione e confermare ciò che pensi e che senti. Questo è il tuo punto debole, che le bufale sfruttano per diffondersi e diventare virali nella falsità virtuale del Cyberspazio.
E come ho detto prima, il confine tra il Cyberspazio e la cosiddetta realtà è sempre più labile.
Se non sviluppiamo attenzione, consapevolezza e spirito critico, abboccheremo sempre più facilmente all’amo e continueremo a cadere in trappola. Tutto ciò che ci seduce, che sembra darci ragione e alimentare le nostre convinzioni, in realtà sta solo rafforzando la nostra “bolla di percezione”. Una barriera che riflette le nostre opinioni personali e ce le rimanda indietro amplificate e distorte. Questa barriera ci separa dalla Verità e crea in noi un cortocircuito, in cui la luce della consapevolezza rimbalza tra noi e questa barriera in cui si rispecchiano le nostre convinzioni.
Possiamo raggiungere la Verità solo infrangendo questa barriera. Possiamo farlo accogliendo gli infiniti punti di vista che la realtà esteriore ci offre (anche quando sono in contraddizione tra loro) e nel contempo esplorando l’immenso universo che abbiamo dentro di noi.
Non ho scritto tutto questo per caso. Di fatto l’ho scritto come monito per me stesso e ora che lo rileggo me ne rendo conto. La mia vita è costellata di scelte basate sul bisogno di conferme esteriori, che mi dessero in qualche modo ragione. E ogni volta che ho scelto in base a questo, ogni volta che l’ho fatto, mi sono ritrovato sui miei passi, come se stessi girando intorno, rinchiuso nella mia bolla personale.
E’ tempo di uscire dalla Caverna.